MANLIO ALLEGRI
Manlio Allegri è nato a Lucca il 12 febbraio del 1945, vive a Vinci dove ha lo studio (via Pascoli 25), ma lavora anche a Livorno e in molti altri luoghi del mondo dove le sue opere lo portano: Parigi, Beaune, Londra, New York, San Francisco, Colonia, Forst, Monaco… Alcune vi sono rimaste in collezioni private e pubbliche. Ha frequentato la scuola d’Arte Villa Trossi Uberti sotto
la guida del maestro Voltolino Fontani e successivamente del maestro Marco Sardelli. Per molto tempo ha lavorato per puro scopo di studio e dal 1979 ha iniziato l’attività con innumerevoli personali e collettive.
Ha dato continuamente il suo contributo organizzativo a una lunga serie di manifestazioni culturali per molte delle quali è stato il promotore. È stato alla presidenza di gruppi artistici livornesi. Attualmente nel gruppomovimento lavorare-camminare.
È stato presidente per molti anni del Premio Nazionale di Pittura e Scultura premiocittàdilivorno di Mario Borgiotti,
Rotonda di Livorno.
TESTO CRITICO
Sono stati definiti “spazi mobili” e, con una parola più colta, “eterotopie”, quei luoghi non costruiti per l’arte come i musei e le gallerie, ma dotati di insite possibilità per divenire “case”, se pur momentanee, di opere e di eventi artistici. Provocano un forte impatto innovativo, stimolano la creatività e la facoltà di immaginare tante sono le tracce oggettuali e gli aspetti esistenziali evocati dalla loro specifica identità, sia essa culturale o architettonica o di uso.
Luoghi dove altri uomini, in un altro tempo, si sono riuniti, riconosciuti, confrontati. Hanno cercato raccoglimento e proiezione di sé. Storia, memoria e presente attualizzato si mescolano, sono “contaminati” dall’arte. Far convivere le proprie personali espressioni con un orizzonte fortemente individualizzato è per un artista un’attrazione visiva e mentale, una sfida. Presuppone un’ulteriore azione creativa che aggiunge valore all’opera stessa: il suo “star bene” in uno spazio, comunicando tutte le sue potenzialità. Si tratta di un particolare tipo di ospitalità. La parola ospite, a parte la sacralità arcaica, implica una duplicità che coinvolge sia chi accoglie, anche il luogo, sia chi viene accolto.
Dialogano due realtà, quella dell’opera: ciò che essa suggerisce intimamente, la sua verità, il messaggio che è anche il suo corpo e quella del luogo con le sue evidenze percettive e con le sue narrazioni. Ciascuna contiene provocazioni, risorse da sviluppare, aspetti da capire. Si confrontano codici di linguaggi diversi. Adattabilità.
Si vive, per fortuna, in un mondo sensibilizzato da una cultura mediatica pervasiva e da forme di visione pluralistiche. L’arte stessa si è sempre mossa nei territori dell’altrove. Nel nostro tempo è anche difficile definirla se non, forse, come una delle più importanti modalità del conoscere. In questa situazione di reciprocità tra luoghi e opere, alcune pensate in maniera apposita, si sviluppa “il nomadismo” espositivo di Manlio Allegri, con una particolare incidenza negli anni attuali della sua ricerca estetico-poetica. In essa cambiano o si perfezionano anche i linguaggi, fino ad arrivare alla fase espressiva. Sono studiati per essere i più coerenti, per ”mettere in arte” il rapporto con se stesso, con le varie realtà circostanti che i sensi, tutti, registrano. Al privilegio della materia e ai suoi accadimenti si accompagna il gesto libero. Il primato dell’intuizione allontana la progettualità razionale.
Iniziano le sperimentazioni su supporti non accademici come le lastre ed i plexiglas. Questi ultimi sono l’antefatto della produzione recente. Sotto il nome di Work in progress vivono opere che “saggiano” l’andare dei colori sulla trasparenza, le reazioni tra di essi: unioni e respingimenti, percorsi polimorfi. Un filo conduttore costante è nella ricerca della luce della quale il colore stesso è “portatore sano”. La luce degli astri prima, poi quella del fuoco…da sempre affascina l’umanità tanto da farla diventare spettacolo e arte. Nella fase attuale di Allegri, l’elogio alla luce ed ai colori liberi sono diventati opera, installazioni luminose; lo sguardo viaggia in paesaggi modulati e policromi.
Sono diventate sculture, hanno trovato il loro habitat in luoghi laici, religiosi, pubblici e privati dove si sente ancora il respiro del tempo. Ospitano e sono ospitate. La loro storia vive delle continue reinterpretazioni possibili. L’arte deve parlare di continuo. I luoghi non saranno più gli stessi nello sguardo e nella testa di chi li ha frequentati. La casa di Leonardo sulla collina di Vinci, il castello di Semivicoli in Abruzzo, la villa rinascimentale di Bellosguardo alle porte di Firenze dove vibra la melodia di Caruso, il nobile palazzo Panciatichi vicino alle cappelle medicee e quello di Cortona… Di luce in luce.
Giovanna Riu
They have been called “mobile spaces”, or to use a more refined word, “heterotopias” and they are places that have not been built for art like museums and galleries, but have innate possibilities to become, albeit momentarily, “houses” for works of art and artistic events. These places elicit a strong innovative impact, thus stimulating creativity and the faculty to imagine because of the many object traces and existential aspects evoked by their specific identity which is either cultural, architectural or related to purpose. These are places where other men, in another time, met, recognised each other and compared experiences. They sought contemplation and self projection.
History, memory and the modernised present are mixed and “contaminated” by art. To bring their own personal expressions to live together with a strongly individualised horizon is for an artist a visible and mental attraction, a challenge. It presumes a further creative action that adds value to the work itself: its “feeling good” in a space, communicating all its potential. It’s a particular type of hospitality. The word host, apart from its archaic sacrality, implies a duplicity that implicates those who host and the space where they host, as well as those being hosted. Two realities interact, the work of art, what it intimately suggests, its truth, the message that is its essence, and the space with its perceptive vividness and its narratives.
Both contain provocations, resources to be developed, aspects to be understood. Codes of different languages meet. Adaptability. Luckily we live in a world sensitised by a pervasive media culture and pluralistic forms of vision. Art itself has always moved in the lands of elsewhere. In our time it is even difficult to define it unless maybe as one of the most important ways to discover, to learn.
In this scenario of reciprocity between spaces and works of art, some of which were conceived especially, Manlio Allegri’s exhibition “nomadism” has developed in recent years with a particular incidence of his aesthetic-poetic search. Therein languages too change or are perfected until they attain an expressive phase. They are studied to be more coherent, to “put into art” the relationship with the self and with the various surrounding realities that all the senses record. Free gestures accompany the privilege of material and its events.
The primacy of intuition alienates rational planning. Thus began his experiments on non academic supports like slabs and plexiglass. These are the backstory of his recent production. Under the name Work in progress are artworks that “test” the stride of colours on transparency, the reactions among them: blending and spurning, polymorphic paths. A constant common thread is the search for the light of which colour itself is a “healthy carrier”. The light of the stars first, then fire…has always fascinated mankind so much so that it has become both spectacle and art.
In Allegri’s current phase, his eulogy to light and free colours has become an artwork, light installations; the eye roams along modulated and polychrome landscapes. They have become sculptures, they have found their habitat in lay, religious, public and private spaces where the breath of time can still be felt. They host and are hosted. Their stories live in continuous possible reinterpretations. Art has to communicate continuously. Spaces will never be the same in the eyes and heads of those who have visited them.
Leonardo’s house on the hill of Vinci, Semivicoli castle in Abruzzo, the Bellosguardo Renaissance villa at the gates of Florence where Caruso’s melody vibrates, the noble Panciatichi building near the Medici chapels and the one in Cortona… From light to light.
Giovanna Riu
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Il suo modo di mescolare i colori mi danno una forte emozione